continua lo SPECIALE CHIESA SPA-LA BEFFA 8XMILLE: LA CHIESA SI FUFFA PURE UN TERZO DEI SOLDI PER LO STATO, INCREDIBILE!!!

 

Chiesa, la beffa dell’8 per milleDei 144 milioni che gli italiani destinano allo Stato, più di 50 finiscono al restauro e alla manutenzione di parrocchie, monasteri e basiliche. Un regalo che si assomma al sistema di ‘devoluzione proporzionale’ che porta nelle casse del Vaticano l’87 per cento del gettito con solo il 34,5 per cento delle firme

In un modo o nell’altro, l’otto per mille degli italian…i finisce quasi sempre alla Chiesa Cattolica. Se non bastasse il sistema proporzionale di distribuzione dei fondi, che finisce per dirottare l’87,2 per cento del gettito direttamente nelle casse della Conferenza episcopale italiana (anche se quelli che scelgono la Chiesa sono il 34,5) ci pensa poi lo Stato a girare un altro 3-4% alla Cei, prelevandolo direttamente dalla sua quota.

Basta infatti andare a guardare la destinazione dei fondi gestiti dallo Stato per accorgersi che almeno un terzo della torta finisce comunque per avvantaggiare il Vaticano: una cifra che solo nel 2010 oscillava tra i 50 e i 60 milioni di euro sul totale di 144 milioni a disposizione dell’otto per mille “laico”.

Questo finanziamento aggiuntivo si perpetua da anni attraverso l’opera di restauro e conservazione di chiese, monasteri e basiliche. Fatti due conti, circa un terzo di tutti i fondi dell’otto per mille destinati allo Stato vengono quindi impiegati nella ristrutturazione dei luoghi di culto presenti nel paese. La fatica di firmare per lo Stato Italiano il proprio modulo è quindi sprecata.

Andando a sfogliare il Decreto della Presidenza del Consiglio pubblicato lo scorso dicembre (qui), si può notare come dei 343 progetti finanziati, 262 riguardano i beni culturali e la metà di questi interessano chiese e parrocchie.

Scorrendo l’elenco si possono vedere il milione e mezzo di euro speso per la Basilica di Sant’Andrea a Mantova, il milione e 800mila euro per il restauro della Chiesa dei santi Vittore e Carlo a Genova, il milione e 200mila euro per san Raffaele a Pozzuoli e il milione e 400mila euro per le suore Benedettine di Lecce, ma non mancano gli interventi da 100mila e persino 50mila euro. Una lista lunga 52 pagine, in gran parte con nomi di parrocchie e chiese della provincia italiana beneficiate dall’otto per mille destinato allo Stato, almeno sulla carta.

Ma le buone notizie per la Cei non finiscono qui. Dopo anni di gestioni folli dell’otto per mille statale, di volta in volta razziato dalle finanziarie e prosciugato per missioni di pace o per aggiustatine di bilancio, lo scorso anno le Commissioni bilancio del Parlamento hanno approvato una legge che rimettesse ordine sull’uso di questi fondi, “costringendo” i Governi ad utilizzarli per il contrasto alla fame nel mondo, alle calamità naturali, per l’assistenza ai rifugiati e per la conservazione dei beni culturali. Grazie a questa necessaria modifica, la quota dell’otto per mille in mano allo Stato per finanziare interventi sociali è cresciuta a dismisura, arrivando a 144 milioni e triplicandosi rispetto ai 43 milioni del 2009 (qui) e moltiplicandosi di 50 volte rispetto ai miseri 3 milioni e mezzo del 2008 (qui). Un vero e proprio tesoretto che poteva andare alle missioni del terzo mondo o essere usato per combattere le calamità naturali, ma che per oltre 100 milioni è rimasto in Italia ed è stato speso in restauri.

Viste le cifre in gioco sorge però una domanda: non potrebbe essere la Cei, con i proventi del suo otto per mille, quello destinato alla Chiesa Cattolica, a sobbarcarsi il costo delle ristrutturazioni dei beni ecclesiastici? Cercando la verità nei bilanci, la risposta è certamente sì. Il solo gettito dell’otto per mille arrivato nelle casse dei vescovi nel 2011 ammonta infatti a 1 miliardo e 118 milioni di euro, di cui 190 sono stati destinati all’edilizia di culto (qui). Di questi, 65 milioni sono destinati alle ristrutturazioni (“tutela beni culturali ecclesiastici”): una cifra quasi identica a quella investita per lo stesso scopo dallo Stato.

Anche non volendo andare ad intaccare il fondo di ben 125 milioni destinato alla costruzione di nuove chiese in Italia, la Cei potrebbe limitarsi a investire nella ristrutturazione una parte di quei 55 milioni che nell’ultimo bilancio sono stati “accantonati”, cioè messi da parte per future esigenze. Ma finché ci pensa lo Stato a pagare i restauri, perché spendere di tasca propria?

fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/chiesa-la-beffa-dell8-per-mille/2159264

Stefano Livadiotti per “L’Espresso”

UN PALAZZO DI PROPAGANDA FIDE IN PIAZZA DI SPAGNAUN PALAZZO DI PROPAGANDA FIDE IN PIAZZA DI SPAGNA

Ci sono gli aspirantati, i commissariati, le case sante, le pie società, le arcidiocesi, le curie generalizie, le arciconfraternite e i capitoli. Poi: i seminari pontifici, i pellegrinaggi, i vescovadi, gli stabilimenti, i sodalizi e le postulazioni generali. E ancora: i segretariati, gli asili, le confraternite, le nunziature e le segnature apostoliche… È accuratamente nascosto dietro una babele di migliaia di sigle spesso imperscrutabili il patrimonio immobiliare italiano della Chiesa, il più grande del mondo intero, che alcuni arrivano a stimare nell’iperbolica cifra di un miliardo di metri quadrati.

Un tesoro comunque immenso, ormai circondato dalla leggenda e che costituisce uno dei segreti meglio custoditi del Paese. Da sempre. E più che mai oggi, nel momento in cui intorno a questa montagna di mattoni, e alla Santa Evasione, legalizzata sotto forma di elusione, infuria una polemica politica al calor bianco. E che potrebbe presto trasferirsi clamorosamente nelle aule del Parlamento.

Un’ici radicale – “Quante divisioni ha il Papa?”, chiedeva Joseph Stalin a chi gli riportava le accuse del Vaticano. Si vedrà quando il Parlamento sarà chiamato a votare la maxi manovra balneare da 45 miliardi abborracciata dal governo per tentare di far fronte alla crisi economica. I radicali hanno infatti presentato un emendamento che farebbe cadere l’esenzione dall’Ici, l’imposta comunale sul mattone, per tutti gli immobili della Chiesa non utilizzati per finalità di culto (quelli cioè in cui si svolgono attività turistiche, assistenziali, didattiche, sportive e sanitarie, spesso in concorrenza con privati che al fisco non possono opporre scudi di sorta).

SANTA EVASIONESANTA EVASIONE

Una partita decisiva per la Santa Casta della Chiesa e per il suo vertice, una pletorica nomenklatura autoreferenziale e interamente formata per cooptazione che, secondo tutti i sondaggi più recenti, rischia di strappare alla partitocrazia la palma dell’impopolarità nazionale. Dopo averle già scippato il primato in termini di costo per la collettività.

L’altra casta – Anni di trattative con la politica, spesso sfociati in accordi di favore ai confini con la legalità, hanno infatti assicurato alla Chiesa un pacchetto di privilegi che, tra sovvenzioni statali dirette e indirette (quelle garantite attraverso gli enti locali) ed esenzioni fiscali vale – secondo i calcoli di Curzio Maltese (“La Questua”) – quattro miliardi e mezzo l’anno, 500 milioni in più rispetto all’apparato politico (ma in un altro libro Piergiorgio Odifreddi arriva addirittura a una cifra doppia). Una parte consistente di questa ricchissima torta deriva proprio dall’esenzione sull’Ici.

Un privilegio che una prudentissima analisi dei Comuni ha valutato in un mancato gettito fiscale compreso tra i 400 e i 700 milioni di euro l’anno (ma secondo Odifreddi le esenzioni fiscali immobiliari del Vaticano valgono invece dieci volte di più: 6 miliardi) e per il quale Roma rischia una salata condanna a Bruxelles per aiuti di Stato. Se il bonus venisse abrogato, allora anche tutto il resto potrebbe essere messo in discussione. In Vaticano è dunque allarme rosso. Anche perché la crociata lanciata dai radicali sta guadagnando consensi.

SAN PIETRO E IL VATICANOSAN PIETRO E IL VATICANO

Nei giorni scorsi l’incauta sortita contro l’evasione fiscale del capo dei vescovi, Angelo Bagnasco, ha suscitato una reazione forte in un Paese chiamato al sacrificio per fronteggiare la crisi. Nel giro di poche ore, su Internet decine di migliaia di firme (120 mila solo su Facebook) sono comparse in calce alla proposta di presentare al Vaticano il conto della manovra. Così ora anche il vertice dei Pd propone di dare una sforbiciata ai bonus della Santa Sede. Che ha spedito i suoi al contrattacco: “Vogliono tassare la beneficenza”, s’è lamentato il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, facendo balenare la prospettiva di una chiusura della Caritas.

Quanti santi in parlamento – I nemici sono forse più agguerriti di sempre. Ma la Chiesa è tutt’altro che disarmata: nei palazzi del potere romano il Vaticano dispone da sempre di una lobby formidabile, trasversale all’intero schieramento partitico e pronta a scattare al primo cenno di comando. Quella che lesta è entrata in azione, nell’autunno 2007, con il governo di Romano Prodi, per spazzare via con 240 voti contrari (contro appena 12 a favore) un emendamento della stessa maggioranza che avrebbe costretto gli enti ecclesiastici a pagare l’odiata Ici.

La stessa che pochi mesi prima, stavolta a Montecitorio, era riuscita a mobilitare 435 voti intorno agli interessi fiscali della Chiesa. E che all’inizio di quest’anno ha strappato la conferma dello sconto milionario, inizialmente soppresso, anche nell’Imu, la nuova imposta destinata a sostituire l’Ici dal 2014. “Oggi c’è più attenzione mediatica rispetto al passato, ma alla fine non se ne farà nulla”, dice sconsolato il deputato radicale Maurizio Turco, uno degli alfieri della battaglia contro i privilegi del Vaticano.

Grazie all’otto per mille – Il pessimismo dei radicali è più che giustificato se si guarda alla storia dell’altro grande privilegio strappato dalla gerarchia ecclesiastica allo Stato e quindi in ultima analisi ai cittadini. Quello dell’otto per mille, messo a punto nel 1985 (con la consulenza di Giulio Tremonti) in sostituzione della cosiddetta congrua, e cioé dello stipendio di Stato ai sacerdoti.

GIUBILEOGIUBILEO

Un marchingegno furbetto: in teoria ogni contribuente può destinare la sua percentuale a una delle confessioni che hanno firmato l’intesa con lo Stato; in pratica funziona come un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si contano le scelte effettuate, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e in base a queste si ripartiscono tutti i fondi, compresi quelli di chi non ha espresso alcuna preferenza. Così, se coloro che mettono una croce sono solo una minoranza rispetto al totale, nel 2007 la Chiesa (attraverso la Conferenza episcopale) s’è vista assegnare l’85,01 per cento del montepremi.

Non solo: ogni tre anni, secondo la legge, una commissione avrebbe dovuto valutare la congruità del gettito ed eventualmente rivedere la percentuale destinata alla Chiesa. Dell’organismo s’è subito persa ogni traccia. Eppure i numeri dicono che tra il 1990 e il 2008 l’incasso della Cei è salito di cinque volte (da 210 a 1003 milioni), mentre la spesa dei vescovi per il sostentamento dei preti è poco più che raddoppiata (da 145 a 373 milioni). La Chiesa dunque ci guadagna, eccome. Ma nessuno pensa di chiedere ai suoi dignitari di tirare la cinghia, come tocca fare ai comuni mortali.

Mattone nascosto – Logico dunque attendersi che la rete protettiva della Chiesa avvolga anche la partita Ici. Del resto, sono passati più di trent’anni da quando Gianluigi Melega è stato congedato dalla direzione de “L’Europeo” dopo la pubblicazione, alla fine del 1977, dell’inchiesta sugli immobili della Chiesa a Roma intitolata “Vaticano spa”. Ma da allora nulla o quasi è cambiato. Appartamenti, uffici, negozi, capannoni e garage di proprietà della Chiesa sono sempre irrintracciabili. Tuttora una mappa del tesoro non esiste: un emendamento del radicale Turco alla Finanziaria 2008, che prevedeva un censimento del mattone vaticano, è stato considerato neanche meritevole di voto. Amen.

LA CASA DEL PIO SODALIZIO DEI PICENI IN CUI ABITAVA TREMONTILA CASA DEL PIO SODALIZIO DEI PICENI IN CUI ABITAVA TREMONTI

In barba a ogni esigenza di trasparenza, di fatto la Chiesa, proprio come i sindacati, non si sogna neanche di predisporre un bilancio consolidato. In quello della Santa Sede, per esempio, non sono compresi i numeri del governatorato della Città del Vaticano, né quelli dello Ior, delle conferenze episcopali e degli ordini religiosi. Così, chi si cimenta nel seguire le tracce delle singole sigle si ritrova davanti a un groviglio che avrebbe disorientato anche il mago Houdini.

Quanto alle poche cifre ufficiali, compulsarle è davvero tempo perso: farebbero alzare il sopracciglio anche a un bambino. Per farsi un’idea basta provare a spulciare i conti dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica: si legge di un portafoglio immobiliare di 430 milioni (dati 2006), capace di produrre un reddito di 36 milioni, a fronte di 18 di spese. Decisamente, i conti non tornano: vorrebbe dire infatti che l’Apsa è in grado di spremere dai suoi palazzi un rendimento dell’8,4 per cento, più di quattro volte superiore a quello che, in media, portano a casa gli enti previdenziali italiani. E dato che nessuno è così fesso da gonfiare artificialmente le proprie entrate, si deve supporre che sia il valore iscritto in bilancio a essere sottostimato di almeno tre quarti.

Un miliardo di metri quadrati – In mancanza di dati certificati, bisogna affidarsi alle valutazioni, più o meno spannometriche che siano. Quelle del gruppo Re (Religiosi ecclesiastici), da sempre vicino alla gerarchia vaticana nel business del mattone, attribuiscono alla Chiesa il 20-22 per cento dell’intero patrimonio immobiliare italiano, che è pari a 4,7 miliardi di metri quadrati. Se fosse vero (“La stima mi pare comunque esagerata”, è la pallida smentita del presidente dell’Apsa, Domenico Calcagno) si arriverebbe appunto intorno a un miliardo di metri quadrati, per un valore appossimativo di 1.200 miliardi di euro.

VATICANO, SALA CLEMENTINAVATICANO, SALA CLEMENTINA

Per altri immobiliaristi non si va invece oltre i 100 milioni di metri quadrati: che tradotti in euro varrebbero comunque tre volte la manovra economica di quest’estate. Le inchieste condotte sul campo danno in ogni caso l’idea di un patrimonio davvero sconfinato. Secondo i dati raccolti dal solito Turco, che ha passato due anni a setacciare il catasto, solo a Roma la Chiesa avrebbe in portafoglio 23 mila immobili. E le sue proprietà sarebbero in continua crescita, dato che nel 2008 ha beneficiato di qualcosa come 8 mila donazioni (esentasse, ça va sans dire). Così, nel 2010, Propaganda Fide (una sorta di ministero degli Esteri vaticano, accreditato di immobili per complessivi 9 miliardi di euro) risulta intestataria a Roma di 2.211 vani e 325 terreni.

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Alla fine, comunque, tutte le indagini si sono arenate davanti ai depistaggi messi in campo dalla gerarchia vaticana. Non solo, per esempio, a Roma le proprietà sono suddivise tra una miriade di soggetti (circa duemila, tra cui 325 ordini femminili e 87 maschili). Di più: anche quelle che fanno capo a una stessa sigla risultano ben mimetizzate. È il caso dei possedimenti di Propaganda Fide, che usa come schermo alle sue proprietà 48 denominazioni sociali diverse, sia pure sempre con lo stesso codice fiscale.

Destra e sinistra pari sono – Quello sull’Ici e il Vaticano (che in base al concordato non paga tasse sugli edifici di culto come le chiese) è un tormentone che va avanti da anni. Esattamente dal 2004, quando a mettere provvisoriamente fine alla diatriba tra comuni e Chiesa è intervenuta una sentenza della Cassazione, che ha dato ragione ai primi. A ribaltare il verdetto, a fine 2005, ci ha pensato il governo di Silvio Berlusconi, che, pressato dai vescovi, ha ribadito l’esenzione. L’anno dopo è toccata a Prodi, autore di un capolavoro di ambiguità all’italiana, in base al quale lo sconto vale solo per gli immobili in cui non si esercita un’attività esclusivamente commerciale.

Vaticano guardie svizzere prelatiVaticano guardie svizzere prelati

Basta dunque che una qualunque struttura, per esempio turistica, abbia una piccola cappella incorporata et voila: il gioco è fatto (secondo i comuni, oggi infatti la Chiesa paga solo nel 10 per cento dei casi in cui dovrebbe). Tutto regolare, ha stabilito all’epoca una commissione istituita dall’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. L’Unione europea, però, non l’ha bevuta.

Ma Bruxelles indaga – A quel punto, su iniziativa dei soliti radicali, la partita s’è dunque trasferita a Bruxelles. Che, dopo aver costretto la Spagna ad abolire l’esenzione Iva per la Chiesa, ha invece archiviato per due volte la pratica italiana. Ma è stata poi costretta a riaprirla quando gli autori della denuncia si sono rivolti alla Corte di giustizia.

Nel mirino della commissione Ue (per la quale alcuni parlamentari italiani hanno invocato tutti seri la scomunica) ci sono, oltre all’esenzione Ici, lo sconto del 50 per cento sull’Ires concesso agli enti della Chiesa che operano nella sanità e nell’istruzione (valore: circa 500 milioni l’anno) e l’articolo 149 del Testo unico delle imposte sui redditi, che, in base a una logica stringente, conferisce a vita agli enti ecclesiastici la qualifica (e i relativi benefici fiscali) di enti non commerciali, indipendentemente dalla loro reale attività. Turco spera in Bruxelles più che in Roma: “A livello tecnico”, dice, “i funzionari si sono già espressi, con un pollice verso alla normativa italiana”.

VATICANOVATICANO

Resta il fatto che la Santa Casta della Chiesa sta giocando la sua partita con un mazzo di carte truccate. “Amministrare i beni della Chiesa”, si legge in un solenne documento sottoscritto dai vescovi e datato 4 ottobre 2008, “esige chiarezza… su questo fronte, tuttavia, dobbiamo ancora crescere”. Sante parole, davvero.

2 – E LO STATO PAGA UN’IRES SUMISURA
Sono 998 le Opere pie e società di mutuo soccorso che hanno beneficiato della riduzione dell’aliquota Ires (dal 33 al 16,5 per cento) per il 2006. Tutte insieme hanno risparmiato 12 milioni e 929 mila euro. I 133 ospedali hanno invece evitato di mettere mano al portafogli per 16 milioni e 899 euro.

Una redazione in parrocchia – Nove milioni,781 mila,901 euro e 78 centesimi. È il totale dei contributi all’editoria incassati per il 2006 dai giornali che fanno capo alla Chiesa. Al primo posto nella classifica si piazza “Avvenire” (6.300.774 euro), seguito da “Famiglia Cristiana” e “Il Giornalino” (entrambi della Periodici San Paolo e a quota 312mila euro), “L’Aurora della Lomellina” (Diocesi di Vigevano: 45.197 euro), “L’Appennino Camerte” (Arcidiocesi di Camerino: 40.780 euro) e “Porziuncola Assisi” (8.995 euro).

3 – DALL’ACQUA GRATIS ALLO SCONTO DEL CANONE
Nel carnevale di prebende rastrellate nel tempo dalla Chiesa non mancano neanche le curiosità.

Un canone rai molto speciale – È quello che si applica (in base a un decreto del ministero dello Sviluppo economico sui televisori installati fuori dagli appartamenti) agli apparecchi degli istituti religiosi: 185 euro e 10 cent simi per il 2009,meno della metà rispetto ai 370 euro e 17 centesimi richiesti ad affittacamere e campeggi a una o due stelle.

L’acqua di pantalone – I giardini del Vaticano sono da sempre molto rigogliosi. Grazie anche a un’innaffiatura abbondante. I preti non lesinano di certo. Tanto non pagano. La bolletta,e vai a capire perché,tocca infatti allo Stato (articolo 6 dei Patti Lateranensi),che negli anni scorsi s’è anche fatto carico di arretrati per oltre 50 milioni di euro.

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Il lasciapassare scontato – Nel 2006 il Comune di Roma ha ceduto alle pressioni e ha concesso alle auto del Vaticano il pass per il centro al prezzo politico di 55 euro. Ai comuni mortali costa esattamente dieci volte di più. «Usare la parola privilegio è totalmente sbagliato»,ha detto il 29 agosto il presidente della Cei,Angelo Bagnasco,Regalìe fa meno casta?

4 – BENEDETTO SIA IL SACRIFICIO: COLLOQUIO CON FRANCO GARELLI
“Per gli italiani è ben chiaro il ruolo di supplenza sociale svolto dalla Chiesa nel nostro Paese. Per di più a costi inferiori rispetto a quelli che dovrebbe accollarsi al suo posto lo Stato. Poi è inevitabile che nei momenti di crisi ci sia un occhio più critico rispetto a certi privilegi”, dice Franco Garelli, docente di sociologia a Torino ed esperto di temi religiosi.

Gli italiani vorrebbero la cancellazione dei vantaggi fiscali concessi negli anni alla Chiesa?
“Le ricerche più recenti dicono che molti si chiedono perché per esempio la Chiesa non debba pagare l’Ici sulle strutture utilizzate per le attività commerciali in concorrenza con i privati. Diverso, ovviamente, è il discorso per gli immobili di culto, dove vale anche l’esempio di altri Paesi”.

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A cosa si riferisce?
“Per non andare troppo lontano, nella laicissima Francia le chiese sono di proprietà dello Stato, che quindi provvede a mantenerle. Da noi non è così e quindi alcune agevolazioni concesse agli enti ecclesiastici continuano comunque a riscuotere il consenso da parte della maggioranza”.

In questo quadro, secondo lei cosa dovrebbe fare oggi la Chiesa in Italia?
“Premesso che ci sono Paesi in cui ma Chiesa ottiene più che da noi, ritengo che dovrebbe partecipare al sacrificio comune imposto dalla crisi. Magari decidendo di rinunciare unilateralmente a qualche vantaggio”.

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